16 Giugno, 2025

Il tema di scienze umane. Vademecum per la seconda prova

by gabriella

 

LA LETTURA DELLA PROVA

 

Il giovedì d’esame, la traccia della seconda prova viene inviata dagli uffici del Ministero alle segreterie delle scuole, stampata e consegnata alla vostra Commissione.

Il Presidente la legge e il commissario che la correggerà alcune indicazioni per lo svolgimento: annotatevele e cominciate a riflettere su questo primo inquadramento del problema che vi è stato assegnato.

 

 

DOPO LA LETTURA DELLA TRACCIA 

 

1. Leggere attentamente il testo della prova, cercando di situare l’argomento e l’autore e ricordando le indicazioni del docente che ve l’ha letto.

2. Consultare il dizionario per capire termini chiave del cui significato non si è certi o per controllare se il significato che si ha in mente è corretto.

3. Riflettere dieci minuti su ciò che si ha da dire sull’argomento. Valutare spassionatamente le affermazioni che si pensa di fare, scartando luoghi comuni e considerazioni troppo ovvie.

4. Stendere uno schema dello svolgimento con la seguente struttura:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

oppure, se in questa fase non vi riesce di indicare l’ordine con cui volete affrontare gli argomenti, con questa:

 

 

 

 

5. Non impiegate più di mezz’ora per queste operazioni preliminari.

 

COSTRUZIONE DEL TESTO

E STRATEGIE PER UN TEMA APPREZZATO DALLA COMMISSIONE

 

1. Fate una piccola ricognizione del problema o una semplice parafrasi del testo presentato dalla traccia d’esame.

Esempio: “Il passo proposto sul tema del disadattamento minorile, evidenzia come non sia sufficiente indicare in alcuni fattori sociali le cause del disagio di bambini e adolescenti, ma sia necessario trovare rimedi efficaci, anche attraverso l’istituzione scolastica”.

Introdurre in questo modo, aumenta il vostro punteggio perché permette al professore che corregge la vostra prova di valutare l'”adeguata comprensione del testo”

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16 Giugno, 2025

Christian Raimo, La tesina e la retorica della multidisciplinarietà

by gabriella

Nove anni fa, Christian Raimo ha scritto per Internazionale questa importante riflessione sull’idiozia latente delle indicazioni che talvolta noi docenti diamo quando forziamo la richiesta di individuazione dei “collegamenti multidiscisplinari” al punto di farne un gioco di libere associazioni, cioè poco più di una passeggiata narrativa tenuta insieme da legami deboli: una battaglia che pensavo di condurre in solitaria, fino a quando non ho letto questo articolo.

Maggio è il mese della febbre delle tesine. Ossia: i più di cinquecentomila studenti che tra un mese affronteranno l’esame di stato, ovvero quello che chiamiamo la maturità, devono preparare una breve ricerca di una quindicina, una ventina, di cartelle che, a partire da un certo argomento, s’impegni a toccare più materie possibile. I ragazzi per lo più vanno nel panico: cercano di arrangiarsi. Se hanno cominciato a chiedere lumi già al primo quadrimestre, arrivati a questo punto dell’anno mostrano schemi strampalati con un sacco di frecce.

“Porto il Mistero: così ci metto il velo di Maya in Schopenhauer, l’enigma di Edipo in greco, il codice Enigma in storia, e i numeri irrazionali in matematica, che ne dice prof?”.

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15 Maggio, 2025

Le teorie della personalità

by gabriella

La lezione esamina il concetto di personalità alla luce delle ultime ricerche delle neuroscienze e dell’epigenetica comportamentale, passando in rassegna le teorie classiche, dalla psicanalisi a Jung ed Erikson, dalle teorie socioculturali a quella dei tratti.

E’ in corso la revisione del testo, riletto sulla base de La personalità e i suoi disturbi [Novara, 2024] di Vittorio Lingiardi.

 

Per quanto tu possa camminare, e neppure percorrendo intera la via,
tu potresti mai trovare i confini dell’anima:
così profonda è la sua essenza.

Eraclito

Indice

1. Il concetto di personalità

1.1 Il contributo dell’epigenetica comportamentale e nelle neuroscienze

 

2. Le teorie classiche

2.1 La teoria dei tratti
2.2 La personalità nella psicologia analitica di Jung

      2.1.1 Le componenti dell’identità junghiana
      2.1.2 Lo sviluppo della personalità secondo Jung

2.3. La psicologia dell’Io di Erik Erikson
2.4. Le teorie socioculturali di Alfred Adler e Karen Horney

2.4.1 Sé creativo e complesso di inferiorità nella psicologia individuale di Adler
2.4.2 La teoria della personalità nevrotica in Karen Horney

2.5 La personalità nelle teorie umanistiche

2.5.1 La teoria dell’autorealizzazione in Maslow
2.5.2 La teoria del Sé in Rogers

 

1. Il concetto di personalità

La personalità è un insieme di caratteristiche che rende gli individui gli uni diversi dagli altri permettendo, allo stesso tempo, di identificare dei tipi umani ricorrenti.

Tali caratteristiche tendono ad essere relativamente stabili, per cui si può dire che la personalità è un insieme complesso e strutturato di pattern cognitivi, affettivi e comportamentali che influenzano il modo in cui un individuo percepisce se stesso e il mondo, si relaziona agli altri e prende decisioni. 

Il termine deriva dal latino persona, maschera, in riferimento al travestimento degli attori che enfatizzava certe caratteristiche dei personaggi in modo che il pubblico potesse conoscerli meglio a partire dai loro atteggiamenti e comportamenti.

Durante i primi anni di vita, i bambini mostrano una vasta gamma di comportamenti. Con il passare del tempo e grazie all’influenza esercitata dalle risposte ambientali, tali modi diventano sempre più strutturati e specifici.

Quindi, lo sviluppo psico-biologico, il contesto psicoaffettivo e l’ambiente socio-culturale concorrono a formare tratti di personalità tendenzialmente stabili, riflettendo il  funzionamento psicologico e comportamentale dell’individuo.

Tali tratti che uniscono temperamento (tendenze innate dell’individuo) ed esperienza formano tipi o stili di personalità.

I manuali diagnostici offrono due definizioni di personalità.

L’11 esima edizione dell’International Classification of Diseases dell’OMS (ICD-11) definisce la personalità come

il modo caratteristico in cui un individuo si comporta, esperisce la vita, percepisce ed interpreta se stesso, le altre persone, gli eventi e le situazioni [ICD-11];

mentre quella del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM -5) tenuto dall’American Psychiatric Association, si focalizza sui tratti, definendoli

pattern costanti di percepire, rapportarsi e pensare l’ambiente e se stessi che si manifestano in un ampio spettro di contesti sociali e personali.

 

1.1 Il contributo del’epigenetica comportamentale e delle neuroscienze 

La prospettiva adottata dall’American Psychiatric Asssociation ipotizza, quindi, che la personalità affondi le sue radici in un insieme di disposizioni comportamentali a base biologica presenti fin dalla nascita che incidono sulle modalità di riposta all’ambiente da parte del soggetto.

Tutti i ricercatori contemporanei evidenziano, comunque, la continua interrelazione tra aspetti biologico-ereditari innati e aspetti ambientali.

Arnold Sameroff, ad esempio, ha osservato in una serie di studi che il temperamento del bambino influenza il modo in cui i caregiver gli rispondono, influenzando le successive risposte e lo sviluppo del bambino.

Daniel Siegel

Ugualmente, Daniel Siegel ha evidenziato la dinamicità dello scambio tra predisposizioni genetiche e ed esperienze, soprattutto durante l’età dello sviluppo.

Siegel, in particolare, ha esaminato i risultati di una quantità di studi di epigenetica comportamentale che evidenziano come l’ambiente possa lasciare segni sulla nostra biologia, influenzando il modo in cui il potenziale genico viene espresso, cioè il modo in cui manifestiamo le nostre caratteristiche temperamentali e di personalità sulla base delle esperienze che costruiscono la nostra storia.

Negli ultimi trent’anni, inoltre, le conoscenze derivate dalle neuroscienze hanno permesso di comprendere in modo più preciso il funzionamento del Sistema Nervoso Centrale (SNC) con particolare riferimento alla sua plasticità.

Si è visto, infatti, che gli stimoli ambientali con i quali l’individuo viene a contatto nelle diverse fasi della vita, possono modificare più o meno stabilmente la struttura e il funzionamento delle diverse aree cerebrali.

Epigenetica e neuroscienze mostrano che i dati biologici innati, come la componente genica, la struttura cerebrale o i tratti del temperamento sono tutt’altro che immutabili ed entrano in una dinamica di cambiamento che coinvolge non i soli individui, ma i gruppi e perfino i popoli.

L’emergere di questi studi rende meno distanti le prospettive che fondono componenti innate ed esperienza da quelle che sottolineano il ruolo dell’ambiente nello sviluppo della personalità, attenuando anche il marcato individualismo delle prospettive più datate, alla luce della realtà polifonica, familiare e interpersonale, che si rivela sia nell’ereditarietà dei tratti che nell’esperienze fondamentali dei primi anni di vita.

2. Le teorie classiche

2.1 La teoria dei tratti

Gordon Allport

Gordon Allport (1897-1967)

La visione che si focalizza sulla componente innata del temperamento è la teorie dei tratti.

Allport, Cattel ed altri, hanno infatti ipotizzato che certe unità fondamentali della personalità, i tratti, appunto, siano fondamentalmente innati.

L’interesse di questi studi si focalizza sulla descrizione e sulla misurazione a fini previsionali non, quindi, sull’origine delle caratteristiche personali che si ritengono derivate da componenti genetiche o dalle basi biologiche del sistema nervoso.

Sviluppate soprattutto negli Stati Uniti, paese in cui la psicologia ha sempre avuto una marcata finalizzazione al controllo (si pensi a Skinner, Elton Mayo, Taylor), le teorie dei tratti si sforzano di individuare gli elementi capaci di dare prevedibilità al comportamento individuale, a partire da dinamiche interiori quali l’atteggiamento e la personalità.

Allport ha sostenuto che l’esame di documenti personali — lettere, diari e autobio­grafie — rivela la personalità e ha difeso la tesi secondo cui i tratti sono le uni­tà fondamentali della personalità, fondate su ba­si biologiche nel sistema nervoso e non semplici strutture ipotetiche.

Lo psicologo ha identificato tre tipi di tratti: cardinali, centrali e secondari.

I tratti cardinali sono disposizioni tanto forti e pervasive da caratterizzare l’intera personalità. Sono, in un certo senso, l’essenza della personalità, ma vengono osservati piuttosto raramente.

I tratti centrali sono quelle poche caratteristiche che, sommate, permettono di cogliere il profilo caratteriale di un individuo, mentre i tratti secondari sono caratteristiche in grado di condizionare il comportamento in contesti e situazioni più limitate.

Raymond Cattell (1905 – 1998)

Secondo Allport, la maggior parte delle persone può essere descritta con discreta precisione ricorrendo a un numero sor­prendentemente ristretto di tratti centrali, pro­babilmente da cinque a dieci.

Raymond Cattel si è dedicato allo sviluppo di strumenti di rilevazione dei tratti, quale l’analisi fattoriale, una tecnica empirica di rilevazione dei tratti che distingue in originari e superficiali. I tratti originari, nuclei fondamentali della personalità, fungono da poli di attrazione per le caratteristiche secondarie, dando coerenza generale al comportamento.

 

3. La personalità nelle teorie neoanalitiche

Lo studio di Freud

Lo studio di Freud

Dopo Freud, i primi psicanalisti, allievi e colleghi del fondatore continuarono l’attività della Società Psicoanalitica Viennese, nata nel 1902.

Dopo i primi anni di attività, l’elaborazione della SPV iniziò a elaborare tesi divergenti dal pensiero del maestro.

Nel 1910 fu eletto presidente Alfred Adler che stava sviluppando una teoria della personalità che attribuiva grande rilievo al rapporto tra l’individuo e il suo ambiente, più che alle dinamiche intrapsichiche. Avendo avanzato queste critiche di fondo al sistema freudiano, l’anno dopo (1911) si dimise per fondare la scuola di psicologia individuale.

Nel 1913 lasciò la SPV anche Jung (1875-1961), lo psichiatra svizzero allievo prediletto di Freud, il quale, oltre a considerare la psicanalisi astratta e priva di spessore storico (lo sviluppo psichico di un aborigeno australiano obbedirebbe per Freud alle stesse dinamiche “edipiche” proprie dell’individuo della società borghese patriarcale), negò la natura sessuale dell’Es.

 

 

3. La personalità nella psicologia analitica di Jung

Carl Jung (1875-1961)

I primi impegni clinici di Jung furono con i pazienti schizofrenici.

Colpito dalle analogie tra i deliri dei suoi pazienti e i miti delle antiche civiltà, lo psichiatra si convinse che la coscienza umana si estende ben al di là dei ricordi derivanti dalla coscienza personale.

La sua ricerca lo portò ad incontrare Freud con il quale iniziò una intensa collaborazione che si interruppe nel 1913 quando le divergenze erano ormai insanabili.

Jung infatti disconobbe la tesi che l’energia umana sia di natura sessuale. Secondo Jung, l’energia psichica implica un’energia legata ai processi vitali di cui quella sessuale è solo un esempio.

Gli altri aspetti di differenziazione della psicologia analitica junghiana da quella di Freud, marcatamente materialista, sono il rilievo di elementi spirituali e mistici nella descrizione del processo di crescita individuale (o individuazione); il minor rilievo attribuito da Jung alla psicopatologia e la scoperta del carattere storico-culturale, non universale, dei processi psichici.

 

3.1 Le componenti dell’identità junghiana

Tutto ciò che ci irrita negli altri 
può portarci a capire noi stessi.

Per Jung, tutta l’energia psichica deriva dai conflitti che si vengono a creare fra i vari elementi della personalità.

Il fine dello sviluppo della personalità è quello di evitare di attribuire troppa importanza a un unico aspetto e di ottenere, invece, un equilibrio o integrazione fra i vari elementi (nel Sé).

Nell’immagine sottostante è rappresentato il complesso modello junghiano della struttura della personalità.

Al centro della coscienza si trova l’Io, che contiene i pensieri consci, i ricordi e i sentimenti: il centro dell’esperienza individuale che fornisce la sensazione di continuità e identi­tà.

personalità Jung

Il modello junghiano della personalità

Al di sopra dell’Io c’è la persona, le maschere o ruoli che indossiamo per affrontare efficientemente gli altri nel nostro quotidiano (il termine maschera viene dal teatro latino, nel quale indicava i personaggi che gli attori impersonavano indossando appunto delle maschere). Il pericolo che si ce­la nella persona è che possa ipersvilupparsi e tagliarci fuori dal contatto con il nostro vero Sé.

Al di sotto dell’Io si trova, invece, l’inconscio personale, che contiene le esperienze individuali non più accessibili alla nostra coscienza. Ancora più nascosto è l’inconscio colletti­vo, l’aspetto più controverso e mistico della teo­ria junghiana.

Secondo Jung, infatti, a causa della no­stra comune ereditarietà evolutiva e delle strut­ture cerebrali, noi ereditiamo la predisposizione a rispondere in un determinato modo a certe esperienze.

Questi temi universali, definiti archetipi, forniscono essenzialmente una “me­moria” collettiva della nostra ascendenza evolu­tiva.

Ne sono un esempio l’archetipo madre-figlio, che guida su basi innate le madri a pro­teggere i figli e l’archetipo di Dio che porta le persone che si trovano in condizioni ambigue o dense di pericoli a creare l’immagine di una divinità onni­potente.

Un’altra componente inconscia della personalità è l’ombra, la parte oscura della personalità che comprende sia quegli impulsi sessuali e aggressivi rimossi che Freud incorporava nel­l’inconscio, sia i temi universali del male e del demonio.

L’incontro con se stessi è una delle esperienze più sgradevoli alle quali si sfugge proiettando tutto ciò che è negativo sul mondo circostante. Chi è in condizione di vedere la propria ombra e di sopportarne la conoscenza ha già assolto una piccola parte del compito.

Altri due temi universali sono l’ani­ma, l’archetipo femminile, e l’animus, l’arche­tipo maschile che rappresentano l’immagine interiore del femminile e della virilità presente ad ogni individuo. Dal punto di vista sessuale, Jung, come Freud, è convinto che uomini e donne abbiano dentro di sé elementi bisessuali che ne­cessitano di essere integrati, piuttosto che ne­gati.

La struttura più importante del sistema jun­ghiano è il , non il semplice equivalente dell’io freudiano (e del principio di realtà), ma una dimensione alimentata dalle esperienze della nostra vita e dall’autocoscienza volta a tenere in equilibrio e ad armonizzare in modo sempre più elevato parti opposte della personalità [per approfondimenti, vedi Aldo Carotenuto, Identità e ipseità. Il principium individuationis.

 

3.2.2 Lo sviluppo della personalità secondo Jung

A differenza di Freud, Jung non ritiene che la perso­nalità si fissi alla fine dell’infanzia.

Per Jung, l’individuazione, il processo che porta allo sviluppo di un unico Sé che realizza le potenzia­lità di un individuo, dura una vita intera.

Nel processo di ricerca della propria perso­nalità, gli individui adottano diversi atteggia­menti.

Su due di questi, l’estroversione e l’in­troversione, si è focalizzata l’attenzione di Jung.

Un atteggiamento estroverso ci orienta verso l’ambiente esterno, mentre un atteggiamento in­troverso ci guida verso l’esperienza soggettiva, interiore.

Per quanto questi due aspetti siano presenti entrambi in ciascuno di noi, uno di essi tende ad assumere un ruolo dominante nella coscienza.

L’estroverso si adatta facilmente ai nuovi ambienti in un modo espansivo, esplicito e a volte spontaneamente fiducioso.

L’introver­so, al contrario, si avvicina alle persone e alle si­tuazioni nuove con esitazione, ritrosia e sfidu­cia. La meta cui tende lo sviluppo della persona­lità è la conquista di un equilibrio fra gli elementi opposti.

Le crisi personali creano uno squilibrio fra gli atteggiamenti estroversi e quel­li introversi, ma una crisi può essere benefica se il nuovo equilibro trovato è ad un livello più elevato di equilibrio e di armonia. Il processo di individuazione, cioè di costruzione della soggettività individuale, è dunque un percorso non facile che merita però la sofferenza (umanizzante) che comporta.

 

4.La psicologia dell’io di Erik Erikson

Erik Erikson (1902-1994)

Erik Erikson (1902-1994)

Secondo la teoria psicanalitica classica, l’Io (o principio di realtà) ha il compito di mediare tra le pulsioni sessuali e aggressive dell’Es e le proibizioni dia Super-Io.

Gli psicologi dell’Io, al contrario, ritengono che la funzione dell’Io sia soprattutto quella di affrontare il mondo esterno. Per questa ragione, rivolgono la loro attenzione soprattutto ai processi di adattamento alla realtà per un sano funzionamento della personalità.

Uno degli psicologi dell’Io più noti è Erik Erikson, allievo di Anna Freud noto soprattutto per i suoi scritti sul ciclo della vita nei quali, a differenza di Freud, secondo cui l’influenza esercitata dai genitori durante l’infanzia costituisce la causa più profonda dello sviluppo della personalità, attribuisce un ruolo rilevante alla società che modella la personalità nel corso della vita. 

Come scrisse in Childhood and Society (1963) lo sviluppo dell’essere umano passa attraverso otto stadi psicosociali, in ognuno dei quali la realtà sociale o culturali presenta una nuova sfida che l’Io deve affrontare e risolvere.

Al centro di ogni stadio c’è il principale conflitto psico-sociale che l’individuo deve risolvere prima di affrontare quello successivo.

 

Erikson fasi psicosociali

Prendiamo la quarta sfida psicosociale che il bambino affronta tra i 7 e gli 11 anni: si tratta della messa alla prova delle proprie capacità nel mondo esterno, oltre la casa familiare, nel confronto con i propri coetanei.  In questo momento il bambino può apprendere di non aver controllo su ciò che gli accade, di non essere capace a svolgere i compiti che gli altri affrontano con facilità sviluppando un senso di impotenza attraverso il quale impara a non essere bravo, competente, capace e a rispondere con sfiducia alle prove e alle sfide dell’età scolare [vedi Abbas Kiarostami, Compiti a casa]. La conseguenza dell’impotenza appresa può essere la riduzione dell’autostima e l’adozione di una postura incline alla depressione.

 

5. Le teorie socioculturali di Alfred Adler e Karen Horney

Alfred Adler (1870 – 1937)

Karen Horney (1885 – 1952)

Partendo dalle obiezioni di Jung e degli psicologi dell’Io, i critici di Freud si opposero alla tesi secondo la quale il modo di funzionare della personalità è spiegato dalle pulsioni biologiche, sostenendo che altri fattori di natura emotiva, culturale e spirituale, vi giocano un ruolo determinante.

Tuttavia, né Jung né gli analisti dell’Io, rigettarono la premessa principale di Freud, secondo cui la personalità è l’espressione di strutture e processi che si trovano all’interno della persona.

Di conseguenza, la teoria freudiana, quella junghiana e la psicologia dell’Io possono essere definite come teorie intrapsichiche. [vedi la critica alla psicanalisi della scuola di Palo Alto o della “pragmatica della comunicazione”]

Con il modello di Erikson (1963), viene avanzata l’idea che lo sviluppo umano si verifica inevitabilmente in un contesto socioculturale. Alfred Adler (1929) e Karen Horney (1937) arrivarono molto prima a conclusioni analoghe, in quanto per entrambi l’individuo è fondamentalmente un essere sociale le cui motivazioni ed esperien­ze sociali sono fattori determinanti molto effica­ci dello sviluppo della personalità (teorie interpsichiche)

 

5.1 Sé creativo e complesso di inferiorità nella psicologia individuale di Adler

Alfred Adler (1870-1937)

Alfred Adler

Alfred Adler fu uno degli aderenti alla Società di Psicoanalisi fondata a Vienna da Freud. Nel 1911, evidenziate le forti divergenze dalla psicoanalisi e da Freud, si dimise e fondò una nuova scuola cui diede il nome di psicologia individuale.

Al centro della teoria adleriana è il concetto del Sé creativo, un sistema personale e soggettivo che consente di interpretare gli eventi della vita e di attribuire loro significato.

Altro punto focale della sua teoria, che comparve molto precocemente nella sua elaborazione, è il concetto di complesso di inferiorità, un senso persistente di inadeguatezza che affonda le radici nell’infanzia, quando il bambino si sente inetto e impotente rispetto ai genitori.

Sono le prime esperienze sociali con chi si prende cura di lui a stabilire se gli sforzi del bambino di superare il senso di inferiorità diventeranno uno stimolo alla crescita o assumeranno la forma di una lotta per la superiorità. Il nevrotico è mos­so ad agire dall’ipercompensazione, dal mo­mento che cerca di dominare e sopraffare gli al­tri per potenziare il proprio Sé. La persona sa­na cerca di migliorare in quanto individuo per portare il proprio contributo al bene comune.

Il meccanismo psichico dello sforzo verso la compensazione, in base al quale di regola l’organo psichico reagisce al senso d’inferiorità con uno sforzo per compensare questo penoso sentimento, ha un’analogia nella vita organica. È un dato di fatto dimostrato, che organi vitali importanti quando presentano una debolezza finché sono ancora vivi, incominciano a rispondere con un aumento straordinario delle loro prestazioni energetiche.

Così quando la circolazione del sangue è minacciata, il cuore lavorerà con un aumento di forza che prende da tutto l’organismo, si ingrosserà assumendo un volume maggiore di un cuore che lavora normalmente. In modo simile l’organo psichico, sotto il peso della pochezza, della debolezza, del senso d’inferiorità, tenterà con sforzi vigorosi di dominare questo sentimento e di eliminarlo.

Secondo Adler, lo sviluppo dell’interesse socia­le, vale a dire del bisogno di contribuire al mi­glioramento della realtà in cui si vive, è un aspetto essenzia­le di un sano processo di maturazione. Gli inte­ressi sociali consentono all’individuo di supera­re l’auto-assorbimento e di subordinare i fini personali al benessere collettivo.

 

5.2 Karen Horney, la teoria della personalità nevrotica

Karen Horney (1885-1952)

Karen Horney (1885-1952)

Allieva di Karl Abraham, a sua volta allievo di Freud, la psicologa tedesca Karen (nata Danielsen) Horney si stabilì negli Stati Uniti nel 1932, durante la grande depressione economica. A differenza della maggior parte degli psicoanalisti, che curavano ricchi borghesi, Horney ebbe a che fare con larghi strati di disagio sociale e psichico, legato dalla disoccupazione e da relazioni interpersonali difficili, esperienza ben percepibile nella sua teorizzazione.

Come Adler ed Erikson, anche Horney vide nella relazione madre-bambino la dimensione sociale piuttosto che quella sessuale. Le esperienze infantili che fanno sentire il bambino solo in un mondo ostile infondono un senso di insicurezza cronica rispetto al bisogno di ricevere una gratificazione dei propri bisogni interpersonali. Poiché il bambino si sente insicuro quando esprime sensazioni di angoscia e di ostilità nei confronti di chi si prende cura di lui e da cui dipende, questi sentimenti permangono anche nell’età adulta.

Secondo Horney, quando cerca di ottenere sicurezza, l’adulto fondamentalmente ansioso può mettere in atto tre stili disadattivi di relazione con gli altri.

1. L’adulto nevrotico che ha bisogno soprattutto di amore si avvicina agli altri e cerca in ogni modo di piacere e così facendo sacrifica la propria crescita personale in cambio di affet­to.

2.Un’altra soluzione disadattiva consiste nell’allontanarsi dagli altri. Il tipo solitario cerca la libertà e la distanza, negando i propri bisogni emotivi.

3.Una terza soluzione nevrotica è quella di muoversi contro gli altri, sfruttandoli aggressivamente per ottenere quello di cui si ha bisogno.

Horney, quindi, si è allontanata dall’orto­dossia freudiana ed stata fra i primi a descrivere la complessità dei rapporti sociali adulti in termini non sessuali. La psichiatra evidenziò ampiamente come il comportamento e lo psichismo individuale siano influenzati molto più dalle condizioni socioculturali che da fattori innati o genetici.

Sia Adler sia Horney hanno enfatizzato il ruo­lo che i bisogni interpersonali frustrati nell’in­fanzia svolgono nel determinare comportamenti disadattivi negli adulti ed entrambi hanno studiato con attenzione la qualità delle relazioni sociali.

Questo approccio socioculturale contrasta nettamente con la tendenza freudiana a descrive relazioni interpersonali come uno sfondo delle gratificazioni istintuali e per la riduzione tensioni. Freud, perennemente pessimista circa la possibilità di conciliare le pulsioni biologiche con i vincoli imposti dalla società, considerava ingenue e superficiali le teorie di Adler e Horney. Il rilievo socioculturale attribuito alle prime relazioni sociali preannuncia la teoria umanistica della personalità elaborata da Carl Rogers.

 

6. La personalità nelle teorie umanistiche

Kurt Goldstein (1878 – 1965)

Il movimento che portò alla psicologia umanistica iniziò nei primi anni ’60. Come reazione alla teoria freudiana, gli psicologi umanistici formularono un’ipotesi molto più positiva delle motivazioni di base. Secondo questi autori, gli esseri umani sono motivati principalmente a crescere e a realizzare le proprie potenzialità. Dobbiamo a Kurt Goldstein (1939, 1940) la prima formulazione teorica Secondo Goldstein, il comportamento nor­male produce uno stato di tensione

che rende l’organismo capace di realizzare se stesso in at­tività sempre nuove, secondo la propria natura e lo spinge in questa direzione.

Nel 1954, Abraham Maslow ha descritto l’autorealizzazione in modo molto differente, come il bisogno

di diventare sempre più quello che si è, di diventare ciò che si è capaci di diventare.

In analogia a quanto aveva detto due secoli prima Jean Jacques Rousseau e in contrasto con quanto aveva sostenuto Freud, questi teorici ritengono che gli esseri umani siano fondamentalmente buoni e che la loro psiche si ammali quando viene loro impedito di seguire inclinazioni naturali.

Gli psicologi umanistici rifiutano la premessa freudiana secondo cui il comportamento adulto è inevitabilmente il prodotto di esperienze passate e ritengono, più ottimisticamente, che la personalità possa modificarsi anche in età adulta.

Secondo le teorie dell’autorealizzazione, le componenti dell’identità emergono da due fonti: le nostre potenzialità in­trinsecamente uniche e le diverse modalità con le quali affrontiamo gli impedimenti che incon­triamo nel nostro processo di crescita.

Abraham Maslow e Carl Rogers sono i più noti rappresentanti dell’approccio umanistico. Maslow ha puntato soprattutto sulle caratteri­stiche della personalità che consentono l’auto­realizzazione. Rogers, al contrario, si è occupa­to soprattutto degli eventi che impediscono l’au­torealizzazione e degli effetti che tali eventi producono sullo sviluppo e sul funzionamento della personalità.

 

6.1 Maslow, la teoria dell’autorealizzazione

Abraham_Maslow

Abraham Maslow (1908-1970)

La teoria di Maslow (1968) si basa sulla di­stinzione fra due tipi di bisogni: i bisogni di base e i metabisogni.

I bisogni di base sono bi­sogni da carenza e sono pressanti perché segna­lano che una persona manca di qualcosa; sono organizzati secondo un sistema gerarchico in cui al primo posto si trova quello più potente.  Una persona deve soddisfare i bisogni del livello inferiore prima di essere in grado di dedicare le proprie energie ai livelli superiori.

Come si può vedere sotto, i bisogni fisiolo­gici sono i più pressanti: chi è privato del cibo o dell’acqua è ossessionato dall’idea di come sopravvivere. Solo quando i bisogni fisiologici sono stati soddisfatti emergeranno i bisogni di sicurezza, il desiderio di protezione e di ordine e i bisogni di amore e di appartenenza emergono solo dopo che sono stati soddisfatti i bisogni fisiologici e di sicurezza.

Secondo Maslow, tutti sentiamo il bi­sogno di sentirci amati o apprezzati dagli altri ma, finché ci troviamo in questa condizione, non possiamo passare a un livello superiore di amore, che implica interesse e sollecitudine per il benessere degli altri. L’ultimo dei bisogni fon­damentali implica la stima: il bisogno di essere tenuto in alta considerazione da sé e dagli altri.

Per riassumere, Maslow ha ipotizzato che sia i bisogni biologici sia quelli psicologici sono fon­damentali e pressanti. Noi non possiamo dedica­re energie all’autorealizzazione finché i nostri bisogni di base non sono stati soddisfatti.

piramide bisogniUna volta che si sono affrontati i bisogni di base, emergono i metabisogni, che sono i bi­sogni di crescita per autorealizzarsi, per svilup­pare completamente le nostre potenzialità, che sono uniche.

I metabisogni, inoltre, implicano una ricerca di qualità spirituali o valori metafisi­ci, quali la giustizia, la bontà, la bellezza e l’uni­tà. Secondo Maslow, i metabisogni sono innati nella specie umana. Quando una persona non riesce a realizzarli, può succedere che si senta alienata, angosciata, apatica e cinica. Quando riesce a soddisfarli in modo appropriato, invece, crescerà fino a divenire un essere umano nella sua completezza.

A differenza dei suoi predecessori, Maslow ritiene che il vero campo di indagine della psi­cologia umanistica sia lo studio di persone ecce­zionalmente sane. Per comprendere l’autorealiz­zazione, Maslow ha compiuto delle ricerche su individui che, a suo parere, avevano sviluppato al massimo le proprie potenzialità. I criteri di selezione che ha adottato sono personali e si ba­sano sulle impressioni ricevute, enfatizzando l’assenza di psicopalologia e la presenza di ten­denze ad autorealizzarsi. L’elenco finale delle persone che si sono autorealizzate comprende gli amici, i conoscenti e importanti figure stori­che quali Albert Einstein, Albert Schweitzer, Eleanor Roosevelt e Abraham Lincoln.

Secondo Maslow, le persone autorealizzatesi hanno molte caratteristiche della personalità in comune: percepiscono la realtà in modo effi­ciente e sono capaci di fare emergere la verità, di smascherare la disonestà e di evitare il pre­giudizio nel momento in cui formulano delle va­lutazioni. A proprio agio con se stesse, queste persone accettano i propri limiti senza eccessivi sensi di colpa; inoltre, gioiscono senza inibizioni o artificiosità. Affrancato dai sensi di inferiorità, chi si è autorealizzato non si impantana in preoccupazioni concernenti la proiezione di un’immagine positiva di sé, ma è centrato sul problema o sul compito, teso all’attuazione di quanto sta compiendo, saldo su posizioni pro­fondamente etiche e impegnato nella ricerca di stabili standard morali.

 

6.2 La teoria del Sé in Rogers

Carl Rogers (1902-1987)

Carl Rogers (1902-1987)

Come per Maslow, anche per Carl Rogers le persone sono per natura motivate a crescere e a realizzare le proprie potenzialità. Il contri­buto principale dato da Rogers alla teoria della personalità è stato, comunque, quello di mostra­re come il concetto che una persona ha di sé che emerge dall’esperienza, possa ostacolare l’autorealizzazione.

Per Rogers, l’esperienza — tutto ciò che è po­tenzialmente disponibile alla consapevolezza di un organismo — è il fondamento su cui poggia la personalità. Rogers ha definito questa totalità dell’esperienza come il campo fenomenico della persona.

All’interno del campo fenomenico si sviluppa un’area che Rogers chiama il Sé o il concetto di sé, il quale fornisce all’organismo una struttura di riferi­mento per le sue azioni e stabilisce che cosa può diventare cosciente.

Affermazioni come “non sono attraente”, “sono onesto”, “sono intel­ligente” sono tutte esperienze del Sé e sono au­tovalutazioni. Sfortunatamente, è possibile che queste affermazioni non siano corrette, perché il concetto di sé subisce pesantemente l’influen­za delle valutazioni formulate dalle altre perso­ne, soprattutto dai propri genitori. Rogers de­finisce queste valutazioni condizioni di va­lore.

Quando le esperienze reali sono sostituite da valori assunti da altri, si genera una frattura tra una falsa valutazione e un’esperienza autentica di sé, ciò che genera tensione e inquietudine nel soggetto.  Il metodo terapeutico proposto da Rogers propone di fornire condizioni non minacciose per ristabilire il concetto di sé.

 

 

Esercitazione

1. Illustra le ragioni per le quali, secondo Freud, la coscienza si difende dall’inconscio.

2. Spiega la differenza tra il disagio psichico affrontato dalla psicanalisi nella sua fase classica (Freud) e le forme del disagio contemporaneo [serviti delle letture di Recalcati, Adorno, Galimberti]

3. Illustra la fondamentale differenza tra la teoria della personalità di Freud e quelle della psicanalisi post-freudiana, confrontandola brevemente con la visione di Alfred Adler.

4.Spiega che cos’è l’ipercompensazione e quale ruolo gioca nella personalità nevrotica secondo Alfred Adler.

5. Illustra il concetto di archetipo nella teoria junghiana della personalità e spiegane l’importanza.

6. Secondo Galimberti, nell’adolescente oggi «non si verifica più quel passaggio naturale dalla libido narcisistica (che investe sull’amore di sé) alla libido oggettuale (che investe sugli altri e sul mondo). In mancanza di questo passaggio, bisogna spingere gli adolescenti a studiare con motivazioni utilitaristiche, impostando un’educazione finalizzata alla sopravvivenza, dove è implicito che «ci si salva da soli», con conseguente affievolimento dei legami emotivi, sentimentali e sociali». Commenta questa affermazione, soffermandoti sugli aspetti psicologici della mancanza di motivazione (intrinseca) allo studio.

7. Spiega che cos’è l’individuazione nella teoria della personalità junghiana.

8. Illustra l’affermazione di Jung secondo la quale «l’individuazione non ha altro scopo che di liberare il Sé, per un lato dai falsi involucri della Persona, per l’altro dal potere suggestivo delle immagini inconsce» [usa Carotenuto].

9. Recalcati evidenzia una duplice tendenza presente nella società contemporanea: «da una parte l’individuo staccato dalla comunità, atomizzato, ridotto a pura maschera sociale, prodotto di una identificazione solida, disinserito dai legami per un eccesso di alienazione ai sembianti sociali; dall’altra parte, la spinta della pulsione che rifiuta la castrazione simbolica e la sua necessaria canalizzazione sublimatoria per imporsi come una spinta sadiana al consumo dell’oggetto, come esigenza imperativa di ottenere un godimento senza passare dall’Altro». Spiega cosa intende.

10. Galimberti scrive che «la mancanza di un futuro come promessa arresta il desiderio nell’assoluto presente». Definisci le passioni tristi e spiegane il legame con l’assenza di futuro.

7 Maggio, 2025

Nietzsche

by gabriella
Nietzsche

Friedrich Nietzsche (1844 – 1900)

Vissuto interamente nell’800, il genio di Nietzsche ha condizionato potentemente il 900, con la sua lettura dell’Occidente e i grandi temi della morte di Dio, dell’Übermensch (il superuomo, nel senso dell’oltrepassamento di sé), della volontà di potenza e dell’eterno ritorno dell’uguale.

 

Indice

1. La fine, la grandezza, la strumentalizzazione, la rilettura critica
2. La nascita della tragedia

2.1 L’apollineo e il dionisiaco

 

3. Socrate e la morte della tragedia
4. Il prospettivismo
5. Le Considerazioni inattuali

 

5.1 La seconda Inattuale: Sull’utilità e il danno della storia per la vita
5.2 Terza e quarta Inattuale: Schopenhauer come educatore, Richard Wagner a Bayreuth

 

6.La filosofia del sospetto. Il Nietzsche illuminista di Umano, troppo umano
7. La filosofia del mattino

 

7.1 La morte di Dio
7.2 La diagnosi del nichilismo dell’Occidente

 

8. Il pensiero meridiano e i temi di Zarathustra

8.1 Il superuomo
8.2 L’eterno ritorno dell’uguale

 

9. La volontà di potenza
10. Filosofare col martello

 

Wikiradio, I biglietti della follia e la biografia filosofica di Nietzsche raccontati da Maurizio Ferraris


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7 Maggio, 2025

Dall’ideale emancipativo dei Lumi alla pedagogia filantropica dei romantici

by gabriella

La lezione è dedicata all’abbandono dell’ideale emancipativo di Condorcet e all’affermazione della filantropia compassionevole dei romantici, in un percorso che va dalla comprensione del ruolo dell’istruzione e della cultura nella formazione umana nel preromantico Herder, alla scoperta del ruolo del gioco nello sviluppo psicofisico del bambino di Fröbel, fino alla sintesi critica di Herbart.

In questo quadro, il punto d’arrivo dell’evoluzione delle idee educative è rappresentato da una pedagogia che di fronte al disastro umano dell’industrializzazione e della guerra, tende la mano agli orfani e ai figli dei miserabili per offrire loro non più il diritto al pieno sviluppo della loro personalità (Condorcet) o la piena umanizzazione (Kant), cioè l’acquisizione di strumenti di comprensione di sé e del mondo, ma qualche abilità da offrire a una società diseguale perché possano essere inclusi.

E’ il momento in cui si comprende che per intervenire sul mare di sofferenza generato dall’oppressione sociale della “grande accumulazione”, occorre essere realisti ed “insegnare ai poveri ad essere poveri”.

Il concetto di emancipazione dall’ignoranza e dalla miseria è, quindi, sostituito da quello di inclusione che ora entra nella scuola e nella didattica per restarci fino ad oggi.

Sarà Pestalozzi a insegnare loro un lavoro e ad amarli cristianamente, dismettendo l’ideale di renderli uguali.

È alla luce di questa svolta ottocentesca che mescola educazione e lavoro, impegnandosi per definire il ruolo di chi ha meno nella società moderna che dovremmo leggere anche le innovazioni introdotte nei decenni scorsi nella scuola italiana, dai pesanti sfrondamenti all’istruzione impartita negli Istituti Professionali, all’introduzione dell’Alternanza scuola-lavoro e alle ore di Orientamento e PCTO.

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Indice

1. Herder e la formazione umanistica
2. Pestalozzi e l’educazione popolare

2.1 Neuhof: istruzione, lavoro e riscatto sociale
2.2 L’esperienza di Stans: istruzione, lavoro ed educazione integrale
2.3 L’elaborazione della didattica a Burgdorf e Yverdon

 

3. Fröbel

3.1 La filosofia frobeliana dell’educazione
3.2 La prima infanzia: il momento dell’espressività ludico-estetica
3.3 La seconda infanzia: il momento dell’apprendimento

 

4. Herbart e la pedagogia come scienza

 

 

1. Herder, la formazione umanistica

Johann Gottfried Herder (1744 – 1803)

La pedagogia di Johann Gottfried Herder media temi illuministici con quelli preromantici e si sviluppa essenzialmente come una critica del sistema tradizionale – che considera intellettualistico e pedante, al quale il filosofo oppone la riscoperta della cultura umanistica e, rousseauianamente, della dimensione emotiva dell’individuo.

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5 Maggio, 2025

Solone, l’areté civile

by gabriella

Leggere Solone è fondamentale per capire il processo di democratizzazione e di laicizzazione in opera già nella società greca alle origini della civiltà occidentale.

Solone (638 - 558 a.C.)

Solone (638 – 558 a.C.)

In Atene divina, alla lor patria,
io molti ricondussi, che stati erano
venduti illegalmente, alcuni a termine
di legge, ed altri ancora che esuli
erano andati per fuggire i debiti,
e per il lungo errar, neppur parlavano
più l’attico idioma; ed altri ancora a sconcia
servitù qui soggetti, che tremavano
al cenno dei padroni, io resi liberi.
Forza unendo e Giustizia, in equa tempera,
col potere delle leggi seppi compiere
le mie promesse, e per i grandi e per gli umili
leggi ho sancite con giustizia equanime.

Solone, L’opera compiuta

Indice

1. La legge scritta come «limite e misura» all’arbitrio dei potenti
2. La crisi della themis nell’opera di Esiodo e Solone
3. L’areté da Esiodo a Solone
4. Massima virtù è creare eunomie
5. L’elegia L’opera compiuta

 


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5 Maggio, 2025

Condorcet, L’educazione come emancipazione popolare

by gabriella

condorcetA Condorcet (Jean-Antoine de Caritat, marchese di Condorcet) si deve la teoria più completa della scuola repubblicana che il filosofo sviluppa in due testi capitali: i Cinq mémoires sur l’instruction publique, pubblicato nel 1791, e il Rapport sur l’instruction publique, del 1792.

Nelle Cinque memorie, per la prima volta l’idea filosofica dell’istituzione scolastica è pensata nella sua complessità e in rapporto con la sovranità popolare, cioè con l’idea che l’istruzione (pubblica statale) sia l’unico strumento capace di rendere effettivo l’esercizio dei diritti di libertà ed eguaglianza.

Proteggere i saperi da ogni potere, vedere in ogni allievo un titolare di diritti, difendere l’istruzione pubblica dagli interessi particolari e dall’utilità immediata, sono gli altri temi cruciali di quest’opera. Condorcet pensa che istruire non significhi né informare,conformare, quanto costruire un’educazione nazionale, cioè creare le condizioni per il progresso e il benessere del popolo francese e di ogni altro popolo libero.

Di seguito la traduzione della Prima memoria condotta da Mauro Poggi e me sulla versione digitale dell’opera curata dall’Università del Québec (Uqac). E’ lasciato in azzurro il testo in lingua originale delle altre quattro memorie e del Rapport sur l’instruction publique.

 

Cinque memorie sull’istruzione pubblica

Prima memoria: Natura e oggetto dell’istruzione pubblica

I. La società deve al popolo un’istruzione pubblica
II. La società deve anche un’istruzione pubblica relativa alle diverse professioni
III. La società deve ancora l’istruzione pubblica come strumento di perfezionamento della specie umana
IV. Motivi per stabilire più livelli nell’istruzione comune
V. L’educazione pubblica deve legarsi all’istruzione
VI. E’ necessario che le donne condividano l’istruzione data agli uomini

Seconda Memoria: Dell’istruzione comune per i bambini

I. Primo grado di istruzione comune
II. Studi del primo anno
III. Dei maestri

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4 Maggio, 2025

L’Illuminismo e il diritto all’istruzione

by gabriella

 

Nicolas de Condorcet (1743-1794)

Il pensiero pedagogico dell’Illuminismo francese si sviluppa nel quarto di secolo che intercorre tra la cacciata dei Gesuiti da Parigi (1762) e la Rivoluzione (1789).

Dopo il 1791, il punto di riferimento obbligato del dibattito politico sull’educazione è l’articolo della Costituzione che impegna la repubblica a creare «un’istruzione pubblica, comune a tutti i cittadini, gratuita nelle parti indispensabili a tutti gli uomini».

La focalizzazione sull’istruzione popolare riflette la generale convinzione che l’istruzione rappresenti il più potente strumento di cambiamento sociale e politico e che ogni cambiamento non accompagnato dall’istruzione popolare sarebbe stato effimero.

Nell’eredità di questo dibattito possono essere rintracciate le origini della modernità politica e della scuola repubblicana.

 

Indice

1. Il dibattito prerivoluzionario e la riflessione illuminista sul sapere e sulla scuola

1.1 Il contributo del sensismo
1.2
Lo scioglimento dell’ordine gesuita e la riforma della scuola nazionale
1.3 De La Chalotais e Rolland d’Erceville: un’istruzione laica, statale e per l’élite
1.4 Hélvetius: l’educazione per il raggiungimento della felicità
1.5 Voltaire: il sapere come esercizio della critica
1.5 Diderot e D’Alembert: la raccolta e la diffusione di un sapere utile all’uomo

2. Rivoluzione ed educazione

2.1 Condorcet: l’istruzione come strumento di realizzazione dell’eguaglianza
2.2 Le proposte sulla scuola della Convenzione


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14 Aprile, 2025

Normalità ed eccezione

by gabriella
Courtesy Museo della Storia della Medicina

Aperta fino al 9 maggio

Che cos’è la normalità? Che cosa intendiamo per anomalia? Se dovessimo porre queste domande a qualche Sapiens contemporaneo dagli schemi mentali particolarmente rigidi, probabilmente risponderebbe che la normalità sono le famiglie tradizionali e l’anomalia quelle arcobaleno, o che la normalità è l’orientamento eterosessuale e l’anomalia è il diverso colore della pelle di alcuni connazionali rispetto alla maggioranza (bianca). Nella categoria dell’anomalo, o dell’“anormale”, farebbero insomma rientrare tutto ciò che non si conforma a un immaginato “ordine naturale” delle cose o a una norma statistica.

Ma se a interrogarsi sul significato di questi concetti fosse, invece, la scienza, la medicina per esempio, i responsi sarebbero, ovviamente, molto diversi. E riserverebbero illuminanti sorprese, a partire dal fatto che l’anomalia e la norma, al contrario di quel che credono i nostri simili di cui sopra, non sono manicheisticamente contrapposte ma unite da un legame profondo e indissolubile.

A darci l’occasione di conoscerle, queste risposte, è una mostra interattiva in corso al Musme, il Museo della Storia della Medicina di Padova: L’anomalia e la norma. La variabilità della vita tra anatomia e biologia, pensata e allestita insieme all’Università degli Studi patavina negli spazi del quattrocentesco ex ospedale di San Francesco, il primo in città a essere destinato alla cura degli ammalati e uno dei primi al mondo a sperimentare l’insegnamento clinico.

 

La fusione tra l’anomalus e il normalis

Charles Darwin (1809 – 1882)

Partendo, appunto, dalle domande «che cosa significa normalità?» e «che cosa rende qualcosa anomalo?», l’esposizione illustra in chiave storica e scientifica l’evoluzione di questi concetti, soffermandosi specialmente sui multiformi aspetti e sulle complessità dell’anomalo.

Dal monstrum degli antichi, quel “fuori dal naturale” che provocava stupore, orrore e rifiuto, al soggetto patologico, emerso grazie all’introduzione da parte di Giovan Battista Morgagni della prospettiva anatomica nello studio delle anomalie e delle malattie, fino alla “fusione” dell’anomalus con il normalis (finalmente intesi come costruzioni socio-culturali) e al riconoscimento del ruolo fondamentale che le “irregolarità” non patologiche hanno nella diversificazione biologica e, perciò, nel processo evolutivo. Per dirla in altro modo, di come e perché l’anomalia, la non conformità, rappresenti un valore per la normalità, non solo una sua deviazione.

Particolarmente interessanti e coinvolgenti sono i reperti esposti nelle varie sezioni, soprattutto nella seconda, dedicata all’anomalo come patologia: si tratta di resti umani di grande valore scientifico provenienti dal Museo Morgagni di Anatomia dell’Università di Padova che testimoniano l’enorme salto in avanti fatto dalla medicina a cavallo tra il Sei e il Settecento quando, grazie a Morgagni, fondatore dell’Anatomia patologica, si è passati dal considerare l’anomalo come creatura mitica, prodigiosa, al riconoscerlo come soggetto patologico, disfunzionale, da curare e catalogare per la ricerca sperimentale attraverso preparazioni a secco e in liquido.

Spesso trattati con il metodo della tannizzazione – inventato da Lodovico Brunetti nell’Ottocento –, sono reperti preziosissimi ai quali è necessario accostarsi con il massimo rispetto: i piccoli gemelli siamesi dai corpicini uniti a livello di torace e addome e l’espressione dolcissima eternizzata nei loro volti, inducono persino a riflessioni profondissime, che coinvolgono la sfera del sacro e scrutano nell’insondabile mistero della carne.

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12 Aprile, 2025

Nadia Urbinati, Le origini e il ritorno del sessismo

by gabriella

 

La violenza sulle donne è il picco criminale di una mentalità sempre meno minoritaria. L’impulso ideologico è parte della nuova destra globale. Per studiarla sarebbe opportuno mettere tra parentesi l’analogia col vecchio fascismo, anche se i disvalori sono gli stessi. Il fatto è che questi disvalori sono precedenti alla nascita del fascismo.

Fanno parte del pensiero reazionario mobilitato da intellettuali e politici contro il lascito della Rivoluzione francese, e soprattutto l’idea di uguaglianza nei diritti, come relazione normativa tra diversi al fine di trattare ciascuno e tutti con uguale dignità.

La sola uguaglianza accettata dalla destra antica e moderna è relativa a caratteri intrinseci. È l’uguaglianza degli uguali. A questa idea si ispira anche la mentalità della nuova destra e di un trend sempre più popolare che va sotto il nome di manosphere, manosfera.

 

Manosfera

La parola, ci dice Wikipedia, è comparsa su Blogspot nel 2009 come un gioco di parole che rimanda alla biosfera. Indica i siti web, blog e forum online che promuovono «la mascolinità, la misoginia e l’opposizione al femminismo».

Le motivazioni si avvalgono di due argomenti reiterati che Caitlin Dewey ha così sintetizzato:

1) la corruzione della società moderna ha tra le sue cause il femminismo, in violazione delle differenze sessuali intrinseche e del sovvertimento dei ruoli sociali; e

2) l’idea che solo gli uomini possono salvare la società dalla decadenza, indotta dalla cultura dei diritti, esprimendo al meglio le implicazioni, lavorative e riproduttive, della loro potenza sessuale.

Per sconfiggere le donne che occupano i ruoli “naturalmente” maschili occorre affermare l’iper-maschio e costringere le donne a sottomettersi. Visitare questi siti produce angoscia.

 

Il progetto trumpiano

La manosfera è una componente dell’ideologia che sta intorno al progetto trumpiano, rappresentata dai “secchioni” che per genio e duro lavoro sono diventati stramiliardari e fanno barriera contro le donne. Gli oligarchi sono solo maschi.

Come quelli che sedevano alla destra di Donald Trump il giorno dell’inaugurazione della sua presidenza, accompagnati da mogli e fidanzate. Altrettanto maschilista, e questa volta nelle forme note alla destra tradizionale, è quella parte di Maga che sogna il ritorno a un’America dei valori originari (famiglia e lavoro) e che sta alimentando una campagna d’opinione per convincere le donne a darsi solo alla maternità e servire la nazione ripopolando di bianchi un paese troppo multietnico. 

Questa destra globale è parte di una mentalità che osteggia, insieme al diritto alla diversità nella scelte sessuali e all’aborto, le eguali opportunità delle donne nel mercato del lavoro (una delle ragioni per cui Elon Musk attacca l’Unione europea).

È anche parte di un dibattito, dai toni spesso melliflui, sulla mascolinità tradita, che ha tutta l’aria di aizzare gli uomini contro le donne. E ha un risvolto psicologico perché, dicono gli studiosi, l’insistenza a voler definire esattamente l’identità del maschio, e poi del “brav’uomo” e di una “sana mascolinità” rivela un alterità opposizionale di riferimento che rischia di associare l’orgoglio maschio al disprezzo delle donne.

 

Formare una mentalità

Nel nome dei diritti dei “dimenticati” si mostra insofferenza verso un pubblico che parla degli uomini solo quando li critica, li condanna, li accusa. I diritti umani hanno dunque attivisti tra chi sostiene i “diritti per gli uomini” e una miriade di gruppi di lamento per un’identità vilipesa, ignorata e disprezzata.

Le vittime costruiscono il loro linguaggio, i loro riti, le loro associazioni: quella dei “celibi involontari”, quella degli “uomini che vanno per la loro strada”, quella per “i diritti dei padri” e poi la miriade di siti di conversazione globale dove si discute di misoginia con grande tranquillità e ci si trastulla con scene di violenza sulle donne.

La reiterazione è un’arma per la formazione della mentalità. Il rapporto State of American Men del 2023 parla di due terzi di giovani di età compresa tra i 18 e i 23 anni che riconoscono di avere un’incapacità di “relazioni affettive” con le ragazze.

L’autismo emotivo e sentimentale è abilmente usato e alimentato dai social che, scrive Jonathan Haidt in The Anxious Generation, sono terreno fertile per promuovere una mascolinità tossica.

 


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