L’introduzione di Ugo Fabietti a Razza e storia, elaborato da Claude Lévy-Strauss per la Conferenza generale Unesco contro i pregiudizi razziali. Seguono le prime pagine del testo [cioè i paragrafi Razza e cultura, Diversità delle culture, L’etnocentrismo, Culture arcaiche e culture primitive] con mie annotazioni, segnalate in verde.
Non inclusi i paragrafi L’idea di progresso, p. 113, Storia stazionaria e storia cumulativa, p. 117, Il posto della civiltà occidentale, p. 123, Caso e civiltà, p. 126, La collaborazione delle culture, p. 134, Il doppio senso del progresso, p. 140]. Claude Lévi-Strauss, Razza e storia e altri studi di antropologia, Torino, Einaudi, 1967, pp. 99-144.
Un manifesto antirazzista
Razza e storia nasce a seguito di una iniziativa dell’Unesco, organizzazione sorta nel 1945 all’interno delle Nazione unite con l’obiettivo principale di promuovere la collaborazione fra le nazioni nell’ambito dell’educazione, della scienza e della cultura. Nel 1949 l’Unesco prepara una Conferenza generale basata su tre risoluzioni relative alla lotta contro i pregiudizi razziali: 1) «Ricercare e riunire i dati scientifici riguardanti i problemi razziali»; 2) «Dare ampia diffusione ai dati scientifici così raccolti»; 3) «Predisporre una campagna di educazione fondata su tali dati». All’iniziativa dell’Unesco vengono invitati rappresentanti di discipline diverse: dalle scienze umane e sociali alla genetica alla biologia.
Razza e storia costituisce il contributo di Lévi- Straus alle riunioni convocate dall’Unesco. Il saggio, pubblicato per la prima volta nel 1952 in una collana promossa dalla organizzazione stessa, ha avuto poi varie edizioni e un’ampia circolazione. A distanza di anni rimane un manifesto antirazzista attuale, importante, inoltre, per lo spirito divulgativo con cui l’autore tocca aspetti cruciali della ricerca antropologica. Lévi-Strauss precisa nozioni come “civiltà”, “cultura”, “società”e considera in modo critico quelle di“differenza razziale“, “etnocentrismo”, “progresso”.
Negli ambienti d’apprendimento, come la scuola, si impara in molti modi diversi.
Aspetti consapevoli ed inconsci entrano in gioco nella motivazione, nell’attenzione, nelle convinzioni limitanti, nel rinforzo e in una serie di vincoli e condizionamenti che agiscono attraverso la didattica, la relazione docente-allievo e il clima di classe.
3.1 L’apprendimento scolastico 3.2 Le difficoltà e i disturbi di apprendimento
4. Il clima di classe e la relazione docente-allievo
4.1 La paura di sbagliare e l’impotenza appresa 4.2 L’effetto Pigmalione
5. I diversi tipi d’apprendimento
5.1 Intelligenza operativa e intelligenza riflessiva
1. La motivazione ad apprendere
«Scegli un lavoro che ami e non dovrai lavorare un solo giorno in vita tua».
Confucio, Massime, VI secolo a. C.
Il primo fattore ad influenzare la qualità e la velocità dell’apprendimento è la motivazione, vale a dire la spinta emotiva a studiare e l’interesse per l’oggetto dell’apprendimento che fanno nascere il desiderio(eros)di impadronirsene.
Platone (427 – 447 a.C.)
Nel pensiero occidentale il primo ad affermare che educazione ed apprendimento hanno a che fare con l’eros è stato Platone (V a.C.). Per il filosofo, infatti, l’amore per qualcosa è legato alla percezione di una mancanza che fa nascere il desiderio di possederla.
Miguel Benasayag
Recentemente, gli psichiatri Miguel Benasayag e Carl Schmit hanno parlato dell’interesse per il sapere come del«la volontà di sapere e comprendere per abitare il mondo», capace di sconfiggere la tristezza e il vuoto dell’epoca contemporanea [Benasayag, Schmit, L’epoca dellepassioni tristi, 2004].
Per i due psichiatri, infatti, la conoscenza è uno strumento di orientamento indispensabile per riconquistare il proprio equilibrio interiore e dare senso al caos contemporaneo.
La psicologia ha interpretato in modo differente la motivazione: per i comportamentisti è legata essenzialmente a gratificazioni esterne, mentre per Bruner e gli psicologi umanisti è il frutto di un bisogno interiore che l’oggetto della motivazione, che si tratti di uno sport, di un hobby o di una disciplina scolastica, soddisfa.
2.1 Imprese transnazionali e concentrazione di capitali 2.2 La finanziarizzazione dell’economia 2.3 La fiscalità di vantaggio: elusione ed evasione fiscale
3.1.1 Industrializzazione e sviluppo del Sud del mondo
3.2La telematizzazione del lavoro 3.3 Il declino del lavoro: focus sulla condizione del lavoro nei paesi sviluppati
3.3.1 Marginalità del lavoro vs protagonismo sociale. La globalizzazione non è (solo) un’altra modernizazione 3.3.2 La sconfitta del lavoro: contrazione del reddito e distruzione tecnologica 3.3.3Povertà diffusa, crisi del Welfare, declino delle democrazie liberali
4. La deglobalizzazione tra rallentamento e resistenze [in stesura]
4.1Il punto di svolta: la crisi finanziaria mondiale del 2008 4.2 Le resistenze e rallentamenti tra nine eleven, sovranismo e guerra mondiale “a pezzi”
7.1 Instabilità, appiattimento sul presente, accecamento della velocità
1. Globalizzazione, mondializzazione
I termini globalizzazione e mondializzazione sono entrati nel lessico sociologico negli anni ’80, per indicare un ampio insieme di fenomeni connessi all’aumento dell’integrazione economica, sociale e culturale tra le diverse aree del mondo.
Karl Marx (1818 – 1883)
Marshall McLuhan (1911 – 1980)
In quegli anni iniziavano infatti ad accelerare i processi tipici della modernizzazione(trasformazioni economiche e innovazioni tecnologiche), cioè la crescente integrazione economica mondiale, di cui già Marx osservava le dinamiche nel XIX secolo, resa possibile dalla disponibilità tecnologica di reti planetarie di comunicazione e trasporto.
L’integrazione economica generata dall’intensificazione degli scambi commerciali tra paesi e aree del mondo è stata infatti:
– un processo favorito da scelte politiche, quali l’abbattimento delle barriere doganali e gli accordi di libero scambio promossi dagli organismi internazionali nati dopo la seconda guerra mondiale, come il WTO (l’Organizzazione Mondiale del Commercio), la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale;
– e reso possibile dallo sviluppo di una rete di comunicazione planetaria che McLuhan indicava nel 1962 (The Gutenberg Galaxy) come l’infrastruttura del «villaggio globale», ossimoro sociologico con cui lo studioso canadese alludeva all’abbattimento simbolico dello spazio e della distanza e alla nuova vicinanza tra genti lontane [che non esclude una nuova lontananza tra vicini] generata dai media elettrici, poi da quelli elettronici.
Perchè la “riforma” dell’esame di stato è un ritorno alla scuola gentiliana e una risposta alla protesta studentesca di una scuola che finalizzata alla sola valutazione.
Questo articolo, tratto dal Sole24Ore del 24 agosto 2024, spiega la stagnazione dei salari italiani, gli unici dell’area Ocse ad essere diminuiti in valore reale negli ultimi 30 anni, con il fattore tempo che include nella sua generalità appesantimenti burocratici e ritardi culturali propri del nostro paese.
Interessante per l’arricchimento della prospettiva, non affronta il punto del centrale della produttività, cioè che misurare quanta ricchezza viene prodotta in una unità di tempo richiede di osservare non soltanto l’intensità del lavoro (i lavoratori italiani sono poco impegnati, hanno più ferie degli altri ecc.?) ma soprattutto come viene organizzato (quanto si investe in innovazione e ingegnerizzazione dei processi).
L’autore, un docente, usa una metafora individuale (il sig. Ivo Produt, da me ribattezzato Italo) per spiegare il basso reddito del lavoro italiano (a causa della nostra bassa produttività) ma, per quanto didatticamente simpatica, a noi ricorda che le metafore mostrano ciò che vogliamo vedere e nascondono ciò che non deve essere visto: in questo caso, l’elefante nella stanza è l’investimento e l’innovazione mancanti nell’impresa italiana.
Quando si parla dei salari italiani, c’è un mantra che circola costantemente su ogni mezzo di informazione, dal Manzanarre al Reno, dalle Alpi alle Piramidi: gli stipendi italiani in termini reali (quindi parliamo di potere d’acquisto) sono gli unici dell’area OCSE a non essere cresciuti negli ultimi 30 anni e, anzi, mostrano una leggera flessione negli ultimi anni.
Tra i diversi fattori che concorrono a spiegare il dato, emerge il grande tema della produttività, su cui una letteratura vasta e piena di evidenze si è arricchita negli anni.
La produttività misura quanto PIL viene prodotto, tipicamente, in un’unità di tempo dal fattore lavoro: il valore aggiunto della produzione.
Non parliamo dunque del PIL prodotto in media da un lavoratore, ma dal reddito prodotto per ora lavorata: scegliere l’unità di tempo consente di valutare non soltanto il contributo della persona, ma anche del contesto in cui lavora, dalla struttura organizzativa alla tecnologia impiegata.
Settore privato non agricolo e non finanziario, escluso fitti figurativi (NACE: B-N, escluso K, L68A). Fonte: elaborazioni su dati di contabilità nazionale Eurostat.
Anche in questo caso l’evidenza empirica è impietosa: prendo da un articolo pubblicato qui L’affaire produttività* – Lavoce.info un grafico che elabora i dati Eurostat e in cui appare evidente il caso Italia nel contesto delle economie europee.
Nei tre settori coinvolti, notiamo che l’indice di produttività italiana negli ultimi 20 anni è cresciuto poco e meno dell’area euro nel settore Industria; è calato più che nell’area euro in quello Costruzioni; è praticamente fermo nel settore dei Servizi.
Il tema della produttività è complesso anche perché è complesso misurare la produttività: in classe mi capita di provare a visualizzare l’importanza del problema e spesso ricorro a esempi un po’ iperbolici.
La giornata del sig. Italo Produt
La giornata lavorativa e di vita del signor Italo Produt è un po’ diversa e più complicata di quella del lavoratore medio europeo, è una classica giornata da incubo.
Proviamo a descrivere cosa gli accade e misuriamo il suo disagio in termini di minuti persi.
Il signor Italo ogni mattina, quando sorge il Sole, prende l’auto per arrivare alla più vicina stazione dove prenderà il treno regionale che lo conduce a lavoro. Arrivato nei pressi del casello, le corsie sono intasate perché un bel numero di persone usa ancora il pedaggio con i contanti e ciò rallenta il flusso della corsa.
Perdita di tempo stimata: 3min
Arrivato in stazione, Italo perde il primo treno perché dimentica di fare il check in del biglietto digitale. Mentre si interroga sull’universo e sul senso di una procedura disegnata da un Mefistofele arrabbiato, il convoglio sbuffa via. Perdita stimata: 15 min.
Italo sale sul successivo treno regionale che arriva a destinazione in ritardo, nella rassegnazione dei suoi compagni pendolari. Perdita di tempo stimata: 10 min (siamo degli ottimisti nonostante tutto).
Italo non abbassa la guardia del buon umore e decise di fermarsi al bar per fare colazione: il simpatico barista, al momento del pagamento, accenna al mal funzonamento del POS e Ivo è costretto a raggiungere il più vicino Bancomat per recuperare i contanti e pagare la sua deliziosa brioche ai frutti di bosco. Perdita di tempo stimata: 10 min
Italo inizia la giornata di lavoro con il sorriso, fino a che un improvviso down della connessione gli impedisce di accedere alla rete aziendale. Perdita di tempo stimata: 10 min.
Italo recupera l’ottimismo insieme alla connessione Internet che ricomincia a funzionare proprio in tempo perché possa partecipare a un meeting di lavoro in cui sono presenti 25 colleghi, molti dei quali con la telecamera spenta. Italo si chiede se, come lui, altri pensano al perché siano stati invitati a una riunione in cui non possono/devono fare altro che ascoltare qualcun altro che comunica decisioni già prese altrove.
Perdita di tempo stimata: 30 min
Italo prende lo smartphone e apre Instagram dove invidia con civile dignità il collega che posta le foto del suo viaggio alle Maldive. Italo ci è andato durante il viaggio di nozze e durante l’intera settimana ha piovuto. Mentre continua a riflettere sull’universo, Italo rimane colpito da un video che mostra dei gattini sopra dei Roomba coperti da cartoni come se fossero carri armati. Perdita di tempo stimata per uso social: 30 min.
Italo ha ricevuto la nuova carta bancomat e la lettera della banca lo invita ad attivarla con un semplice clic dal web. Con un leggero disappunto, Ivo entra nell’home banking dal suo telefono per accorgersi che nessuna carta è presente tra quelle associate al conto corrente e decide di chiamare allora il solerte call center. Dopo un incantevole ascolto del Bolero di Ravel che impressiona Italo e si interrompe proprio sulla progressione finale, Italo si addentra in un labirinto di selezioni automatiche fino al momento in cui Egest, dall’Albania, gli dice che non può fare altro che recarsi fisicamente in banca per risolvere un problema che è forse legato a un tema di legge sulla privacy. Perdita di tempo stimata per chiamata inutile al call center: 10 min.
Italo col sorriso sul volto e una breve consultazione del calendario di Frate Indovino, per scoprire il santo del giorno, si reca in banca onde attivare la sua tessera bancomat. Con un comodo clic spinge il portone e saluta l’impiegata che risponde con uno sbuffo arrabbiato e senza mai guardare Italo in faccia.
Perdita di tempo stimata per inatteso viaggio in banca: 30 min.
Bonus track scortesia dell’impiegata: 5 min.
Italo torna in ufficio dove si dedica a burocrazia spiccia per preparare l’audit della sua unità. Una nuova procedura richiede la compilazione di una modulistica in .pdf che va rigorosamente stampata su carta, scannerizzata e inviata via mail a un’anonima casella che raccoglie i documenti. Italo si è sempre chiesto che razza di digitalizzazione sia quella di processi in cui l’attivazione digitale duplica un processo che avviene nella realtà fisica. Ma continua a riflettere sull’universo.
Perdita tempo stimata: 20 min.
Italo è felice perché è l’ora della pausa pranzo. Esce per andare a mangiare in quel posto che fa le poke buonissime con gli edamame tostati. Invocando Sant’Albino (beato del giorno), realizza che deve avere smarrito il portafoglio. O forse ha subito un furto. In ogni caso, Ivo si reca con un volto leggermente provato dalla delusione presso la più vicina caserma dei carabinieri, dove attende di essere ricevuto dall’incaricato di raccogliere le denunce. Quando la porta si apre perché è arrivato il suo turno, Italo pensa che anche l’Uomo Invisibile quel giorno deve avere subito un furto, perché non vede passare nessuno dalla porta. Il gentile carabiniere chiede gli estremi del bancomat che Ivo mostra dallo smartphone con uno screenshot. Il gentile carabiniere chiede una versione cartacea della schermata e Ivo propone di inviare lo screenshot via mail perché possa stamparlo. Il carabiniere accenna a un taglio budget ma afferma che a soli 200 m dalla caserma una copisteria è in grado si stampare il file e a costi molto ragionevoli. Italo pensa a Sant’Albino, all’universo e dopo una lunga peregrinazone riesce a completare la procedura di denuncia.
Perdita tempo stimata: 30 min
Italo torna in ufficio ma quel giorno ha prenotato una visita medica dal cardiologo. Si reca puntualmente nell’ambulatorio, dove si accorge che il calendario delle visite è compromesso. La cosa gli suscita una leggera tachicardia ma è nel posto giusto: 3 persone sono davanti a lui allo scoccare dell’ora stabilita per l’appuntamento.
Perdita di tempo stimata: 30 min.
Italo vuole dimenticare la sua giornata da incubo e decide di premiarsi con una cena romantica con sua moglie. Accede allo smartphone per prenotare un tavolo ma si accorge che il servizio non è attivo e deve dunque chiamare telefonicamente per effettuare la prenotazione stessa. Perdita tempo stimata: 3 min
Italo passa la serata al ristorante dove la brigata in sala è ridotta all’osso perché 2 camerieri sono ammalati, uno è in viaggio di nozze. E in cucina un forno è fuori uso. Il caposala si scusa per il disservizio ma Ivo condivide con la moglie che oggi è il giorno di Sant’Albino. Perdita di tempo stimata: 20 min
Ivo arriva alla fine della sua giornata da incubo e, mentre riflette sull’universo, pensa che la risposta alla domanda fondamentale sia 42. Sommando però i minuti persi nelle diverse situazioni descritte, il numero è 253.
253 min sono più di 4 ore di tempo, ma noi come il signor Italo Produt siamo inguaribili ottimisti e riteniamo che la giornata descritta sia eccezionalmente sfortunata. Ciascuno di noi può riconoscersi in qualcuno degli episodi, ma immaginiamo una probabilità molto bassa di vivere un incubo simile.
Qualcuno sostiene che con una probabilità del 90% o superiore le persone comincino a dare un evento per certo.
E allora diamo peso 10% alle sventure del signor Italo (evento molto improbabile), il che ci porta a una perdita di tempo media al giorno di 25 min.
Lavorando con stime del tutto conservative, cerchiamo di visualizzare il costo dell’improduttività avanzando un semplice ragionamento.
Assumiamo che ogni lavoratore in media in Italia perda 25 minuti al giorno.
Assumiamo un anno di 260 giorni lavorativi (escludiamo sabato e domenica) e possiamo sottrarre a questo numero 40 giorni tra ferie e giorni festivi. Arriviamo a 220 giorni.
Se moltiplichiamo 25 min per 220, otteniamo 5500 min, che costituiscono 91 ore di lavoro perse.
Sempre con un ragionamento conservativo, ipotizziamo un salario orario molto basso: 10 euro.
Un lavoratore dunque perde 910 euro all’anno e, considerando un numero di persone occupate che, secondo gli ultimi dati ISTAT; raggiunge la cifra di 23,7 milioni, arriviamo a una stima (conservativa, lo ripeto) di 21,5 miliardi di euro l’anno.
Sono due terzi di una legge finanziaria.
Il signor Produt Ivo si sveglia la mattina e, quando sorge il Sole, prima di bloccarsi nel traffico della tangenziale per correre a prendere un treno che finirà la sua corsa in ritardo, ascolta alla radio Paolo Conte “… e il treno dei miei pensieri all’incontrario va”.
Il signor Ivo pensa di scrivere all’ISTAT per introdurre l’indicatore statistico del valore sottratto per ora lavorata.
Alla luce di quanto letto e discusso in classe sui temi del lavoro e della produttività, stendi un testo di max due cartelle spiegando a cosa si riferisce il Presidente Mattarella quando parla di dinamica salariale negativa, di squilibri reddituali, di precarietà e piani bassi dell’occupazione, dell’emigrazione dei giovani qualificati e della “fuga dei cervelli” e, infine, dell’auspicio di una maggiore “coesione sociale”.
Dovremmo essere alle soglie di un futuro prospero perché il potenziale dell’umanità non è mai stato così immenso. Eppure, come all’inizio del ventesimo secolo, si sta profilando lo scenario peggiore.
L’autoritarismo è diventato sempre più diffuso, arrivando a sovvertire anche le democrazie più consolidate. Se non stiamo attenti, l’intelligenza artificiale rischia di distruggere miliardi di posti di lavoro.
Sembra proprio che la storia non ci abbia insegnato niente. Lo scenario di Jacques Attali.
Un attivista
Ogni generazione è convinta di vivere in un’epoca senza precedenti e caratterizzata da sfide uniche. Puntualmente, però, gli stessi schemi e le stesse motivazioni entrano in gioco indebolendo e persino distruggendo le civiltà, oppure rafforzandole e facendole prosperare. Per imparare dal passato occorre riconoscerne le simmetrie e le risonanze. L’ascesa e il declino delle potenze nel corso dei secoli, ad esempio, hanno stabilito alcuni principi fondamentali.
Il più importante è che quando una potenza dominante si trova ad affrontarne due rivali, di solito trionfa quella che non entra in conflitto con la potenza dominante. Un’altra lezione è che, pur avendo tutte le carte in regola per ottenere grandi risultati, le civiltà possono soccombere sotto il peso di errori non forzati. Ad esempio, all’inizio del ventesimo secolo, l’Occidente sembrava pronto per la prosperità: con l’avvento dell’elettrificazione, dell’auto, del telefono, della radio e del trasporto aereo, il progresso tecnologico attraversava una fase di accelerazione, mentre il circolo vizioso della povertà e della guerra sembrava essersi spezzato.
Ma la prima guerra mondiale pose fine a questa età dell’oro. Le invenzioni progettate per liberare l’umanità divennero armi di distruzione e l’illusione del progresso morì nelle trincee. Per decenni, l’Europa fu sconquassata dalla guerra e dall’odio, il continente andò in fiamme.
Oggi il mondo sta vivendo qualcosa di simile. Dovremmo essere alle soglie di un futuro prospero perché il potenziale dell’umanità non è mai stato così immenso. Grazie alla transizione verso un’energia più pulita, l’era dei combustibili fossili potrebbe chiudersi per sempre. Le scoperte scientifiche potrebbero cambiare drasticamente la nostra vita, curando malattie resistenti alle terapie, sviluppando una fonte quasi illimitata di energia rinnovabile, liberando gli esseri umani dai compiti più ardui e così via.
Molti paesi hanno riconosciuto l’urgenza di affrontare il cambiamento climatico e di proteggere il pianeta. Milioni di ettari di territorio – dal Kivu all’Amazzonia – sono in fase di riforestazione. Il trattato Onu sull’alto mare punta a tutelare il 30 per cento degli oceani entro il 2030. Il Pil sta lentamente cedendo il passo ad altre misure che attribuiscono valore alla salute, all’uguaglianza e al benessere. I giovani stanno facendo sentire la propria voce in tutto il mondo, le donne hanno sempre più accesso a ruoli di responsabilità e le società, consapevoli di dover fronteggiare sfide comuni, si impegnano nel dialogo.
Eppure, come all’inizio del ventesimo secolo, si sta profilando lo scenario peggiore. L’autoritarismo è diventato sempre più diffuso, arrivando a sovvertire anche le democrazie più consolidate. Se non stiamo attenti, l’intelligenza artificiale rischia di distruggere miliardi di posti di lavoro, portare alla creazione di nuove armi ed erodere le nostre capacità cognitive. L’ambiente continua a degradarsi e la crisi climatica ad aggravarsi a causa dei milioni di tonnellate di emissioni di gas serra che vengono ancora rilasciate nell’atmosfera.
L’innalzamento del livello dei mari, il prosciugamento dei fiumi e i cattivi raccolti hanno costretto milioni di persone a migrare. Le guerre si moltiplicano in tutto il mondo e i conflitti per il cibo e l’acqua sono destinati a intensificarsi.
La maggior parte dei governi democratici è paralizzata e rimanda le riforme necessarie a dopo le prossime elezioni. Con la globalizzazione sotto attacco, sono riaffiorate la paura dell’altro, la nostalgia di una purezza illusoria e il disprezzo per la conoscenza. Tutto ciò ha portato alla divisione, all’esclusione e alla sfiducia, terreno fertile per l’affermazione del populismo. L’intelligenza collettiva cede il passo alla rabbia individuale, proprio come all’inizio del ventesimo secolo.
Ancor più preoccupante è che ci troviamo a fronteggiare sfide comuni – cambiamenti climatici, povertà, rischio di epidemie e uso improprio della tecnologia, in particolare dell’IA – che colpiscono l’umanità in quanto tale. Saturi di schermi e videogiochi, e costantemente ossessionati dalle rivalità nazionali, dimentichiamo di pensare al futuro globale e permettiamo ai potenti interessi nazionali di dominare i processi decisionali. È così che muoiono le civiltà. È così che può morire la civiltà umana.
Per scongiurare un simile scenario, non dobbiamo dimenticare le lezioni del passato. Dobbiamo comprendere che è giunto il momento di pensare come un’unica specie umana e di combattere insieme le battaglie comuni. Dobbiamo basare le nostre azioni sulla cooperazione globale e non sull’egoismo geopolitico. Gli interessi delle generazioni future dovrebbero avere la precedenza su tutto, il che implica ridare slancio all’altruismo. Forse un giorno ripenseremo al 2025 come all’anno in cui l’umanità avrebbe potuto imboccare un cammino oscuro e invece, per la prima volta dopo secoli, ha scelto la vita.
Lo sgombero di Castel d’Azzano in cui sono morti 3 carabinieri e altre 27 persone sono rimaste ferite, è anche una storia di disagio sociale, indebitamento e povertà da analizzare nel contesto di una società in cui chi si impoverisce o perde il lavoro resta isolato e privo di sostegno.
Ospiti della puntata di Tutta la città ne parla: Alessio Corazza, giornalista del Corriere della sera e del Corriere del Veneto; Alessandra Ziniti giornalista di Repubblica; Gianfranco Bettin scrittore e sociologo; Salvatore Palidda sociologo dell’Università di Genova e Andrea Morniroli socio della cooperativa sociale Dedalus di Napoli e tra i coordinatori del Forum Disuguaglianze e Diversità.
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